Qualcuno con cui correre, scritto in maniera magistrale, è un inno all’adolescenza. Un libro di formazione interessante, regala emozioni e spunti di riflessione. In questo romanzo David Grossman mette in risalto i problemi e le paure giovanili, gli ideali, la lotta contro quel mondo malsano che sfrutta le debolezze altrui, il valore dell’amicizia, dell’amore fraterno e soprattutto dell’altruismo.
Assaf e Tamar, entrambi sedicenni, sono i protagonisti della storia che si snoda per le strade di Gerusalemme, l’uno sognatore e generoso, l’altra coraggiosa e misteriosa. Le due narrazioni corrono parallele ma ad un certo punto si intrecciano e si fondono una nell’altra, complice un cane di nome Dinka. Un libro che cattura il lettore, tanto l’adulto quanto l’adolescente. Un romanzo da leggere e regalare.
“Tamar pensò che non aveva mai incontrato nessuno con cui si sentiva tanto bene tacendo”.
Seduto su un sasso, Shay si dondolava e mormorava qualcosa tra sé. Assaf e Tamar non lo vedevano. Il mondo era negli occhi dell’altro. Tamar si avvicinò ad Assaf, lo guardò assorta, dimentica di se stessa, come se attingesse qualcosa dai suoi occhi, dal suo viso, dal suo corpo grande e robusto. Assaf non si mosse. Di solito uno sguardo simile era una tortura per lui, lo faceva sentire a disagio, ma ora provava solo un po’ di debolezza alle gambe.
“Sono Tamar.”
“lo so.” Dopo un secondo si ricordò: “Io sono Assaf.”
Seguì un momento di imbarazzo. Dovevano stringersi la mano? Sarebbe stato troppo formale. Per qualche attimo erano andati già oltre quello stadio.
Tamar si riprese per prima e puntò un dito in direzione di Shay: ” E lui è mio fratello, Shay.”
” Tuo fratello?”
“Sì. Perché? Non lo sapevi?”
” Ho sempre pensato che lui… Insomma che tu e lui… Cioè, non lo sapevo!”
Tamar capì: “Pensavi che fosse il mio ragazzo?”
Assaf ridacchiò. Arrossì. Si strinse nelle spalle. Una rotellina minuscola nel suo cervello iniziò a girare più velocemente delle altre, cigolando: “Se è così… Allora va bene, no?” Provava una sensazione nuova, sconcertante, strana. Come se qualcuno si fosse intrufolato nella sua anima e avesse cominciato vertiginosamente ad arredarla, a spostare tavoli pesanti, a buttare fuori armadi vecchi e pieni di muffa, a introdurre mobili leggeri e flessibili, di bambù.
[…]
“L’egoismo sublime”
In fin dei conti, ciascuno di noi agisce solo in base al più puro egoismo, persino nei rapporti fra genitori e figli, persino nelle relazioni amorose. Solo che si ha paura ad ammetterlo, perché altrimenti tutta la nostra stretta visione borghese della vita crollerebbe a pezzi.
[…]
Talvolta, specie durante quell’ultimo anno, Tamar aveva avuto la sensazione che quelle teorie fossero riuscite a penetrare in lei. E, malgrado tutto, ad avvelenarla.
[…]
“Anche a me capita di riflettere sull’egoismo umano in questi termini” disse Assaf sorprendendola. “E’ piuttosto deprimente pensare che in qualche modo Shay abbia ragione.”
“Si, è piuttosto deprimente” commentò Tamar con amarezza, “e anche abbastanza difficile sostenere che si sbaglia di grosso. Perché cosa gli si può obiettare?”
“Ci sono almeno tre risposte” disse Assaf dopo aver riflettuto. “La prima, almeno per quanto mi riguarda, è che ogni volta che riesco a sconfiggere l’egoismo, per qualche motivo mi sento meglio.”
“Ma a questa affermazione Shay e i suoi amici filosofi potrebbero ribattere che con ciò dimostri solamente di essere un codardo conformista!” obiettò Tamar. “In fondo hai solo paura a comportarti in modo diverso e preferisci sentirti in pace con te stesso per evitare i sensi di colpa.”
“Al contrario” replicò Assaf con grande serietà, “se l’egoismo è qualcosa di comune a tutti allora proprio quando si riesce a sconfiggerlo ci si sente diversi dagli altri, no?”
“Davvero?” sorrise Tamar, un po’ sorpresa. “Comunque, questa è la prima risposta. E la seconda?”
“La seconda è qualcosa che mi ha detto Teodora, in un altro contesto: è ovvio che al mondo ci sono persone egoiste, ma ce ne sono altre che non lo sono, e aiutano le prime a non esserlo. […] E a questo proposito Teodora ha detto che proprio per loro vale la pena vivere.”
[…]
“La terza risposta è che quando non ho una buona risposta a domande come queste vado in un campo vicino a casa mia dove c’è una piccola discarica piena di rottami e migliaia di bottiglie di vetro. Metto una bottiglia su un sasso e le tiro delle pietre. Vado avanti così per un’ora o due, rompo venti, trenta bottiglie. Mi aiuta. Mi sgombera la mente” Rise. “A ogni bottiglia do un nome,non solo nomi di persone, anche di pensieri.. E io li mando in frantumi, uno dopo l’altro, cosi mi calmo fino alla volta successiva” Ridacchiò con imbarazzo. “E’ un rimedio per pappamolli”
“Non sei un pappamolle” ribattè Tamar, forse con troppa precipitazione. “Mi porterai una volta in quel posto? Romperei volentieri anch’io qualche bottiglia.”
Da: “Qualcuno con cui correre” di David Grossman – Alessandra Shomroni