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La paga del sabato – Beppe Fenoglio

La paga del sabato

“La paga del sabato” è un romanzo poco conosciuto.

Scritto nell’immediato dopoguerra, insieme ai “Ventitre giorni della città di Alba”, rimane inedito fino al 1969.

Nel 1950 Fenoglio lo invia ad Elio Vittorini (Einaudi) il quale, considerandolo un “cartonaccio cinematografico”, lo boccia e gli consiglia di ricavarne un paio di racconti.

Fenoglio ringrazia e ubbidisce; così “La paga del sabato” finisce in una specie di binario morto.

L’opera narra una storia di disadattamento. Ettore, un ragazzo di ventidue anni, è un ex partigiano; tornato a casa intuisce subito il cambiamento repentino che lo degrada da eroe a uomo comune, defraudandolo del prestigio ottenuto in guerra. Non riconoscendosi nel nuovo ruolo, fatica a riprendere il filo della sua vita. Sua madre lo invita a cercarsi un lavoro, ma lui non può; decide di unirsi ad altri come lui, Bianco e Palmo, e con loro si ritrova ad operare in traffici illeciti. Contrabbando ed estorsione. Con il tempo, a poco a poco, Ettore comincia ad immaginare una nuova vita. Vuole sposare Vanda, la ragazza di cui è innamorato e che aspetta un figlio da lui. Con i soldi messi da parte progetta di aprire una stazione di servizio, un lavoro onesto… 


C’è un certo sguardo d’acciaio e dolcissimo sul dolore.
Questo, in ogni riga, è Fenoglio ” 
 
A. Baricco
 
 

Estratto
:

-Così ce l’hai con me perché non lavoro e non ti porto a casa un po’ di sporchi soldi. Non guadagno, ma mangio, bevo, fumo, e la domenica sera vado a ballare e il lunedì mi compero il giornale dello sport. Per questo ce l’hai con me, perché io senza guadagnarmele voglio tutte le cose che hanno quelli che se le guadagnano. Tu capisci solo questo, il resto no, il resto non lo capisci, non vuoi capirlo, perché è vero ma è contro il tuo interesse. Io non mi trovo in questa vita, e tu lo capisci ma non ci stai. Io non mi trovo in questa vita perché ho fatto la guerra. Ricordatene sempre che io ho fatto la guerra, e la guerra mi ha cambiato, mi ha rotto l’abitudine a questa vita qui. Io lo capivo fin d’allora che non mi sarei poi ritrovato in questa vita qui. E adesso sto tutto il giorno a far niente perché cerco di rifarci l’abitudine, son tutto concentrato lì.[…]

-No, no, non mi tireranno giù nel pozzo con loro. Io non sarò mai dei vostri, qualunque altra cosa debba fare, mai dei vostri. Siamo troppo diversi, le donne che amano me non possono amare voi e viceversa. Io avrò un destino diverso dal vostro, non dico più bello o più brutto, ma diverso. Voi fate con naturalezza dei sacrifici che per me sono enormi, insopportabili, e io so fare a sangue freddo delle cose che a solo pensarle a voi farebbero drizzare i capelli in testa. Impossibile che io sia dei vostri. Ecco là gli uomini che si chiudevano fra quattro mura per le otto migliori ore del giorno, tutti i giorni, e in queste otto ore nei caffè e negli sferisteri e sui mercati succedevano memorabili incontri d’uomini, donne forestiere scendevano dai treni, d’estate il fiume e d’inverno la collina nevosa. Ecco là i tipi che mai niente vedevano e tutto dovevano farsi raccontare, che dovevano chiedere permesso anche per andare a casa a veder morire loro padre o partorire loro moglie. E alla sera uscivano da quelle quattro mura, con un mucchietto di soldi assicurati per la fine del mese, e un pizzico di cenere di quella che era stata la giornata. […]

Si voltò dalla parte di Bianco e Palmo, a quei due sì che aveva fatto effetto ritrovarsi sulle colline, perché si muovevano con scatti infantili, puntavano il dito dappertutto e avevano gli occhi piccoli e lustri e Ettore poteva leggerci il barbaro sentimento che quelli erano stati tempi felici e che il destino sarebbe stato ingiusto se non gliene riservava un altro pezzo prima di morire. Ettore era impressionato per sé e per loro, si domandava come facevano quei due a non essere niente cambiati da allora mentre lui era cambiato tanto da non riconoscersi più, cominciò a dirsi che forse era perché loro non l’avevano fatto bene il partigiano, non ci avevano messo tutto, non ci si erano esauriti, ma questa conclusione andava a rompersi contro Bianco, e allora lui la cambiò, si disse che era perché loro non avevano avuto, dopo la guerra, la persona o il fatto o il ragionamento che ci mettesse una pietra sopra. Lui aveva avuto Vanda.[…]

Era in crisi, nel corpo e nell’anima, aveva bisogno d’acqua e di libertà…
L’abbandonava in pena, ma non poteva farci niente, non aveva né la volontà né i mezzi di consolarla, toccava a lei di resistere a quella pena, anche nello stato che lei si trovava, doveva bastarle sapere che lui sarebbe tornato, purtroppo che sarebbe tornato, era solo questione d’aspettarlo, per quanto tempo era lui il primo a non saperlo.
Uscì, fuori faceva un gran calore ma lui si sentiva refrigerato e con una voglia di mettersi a correre come un bambino, ma il ventre gli pesava sulle gambe molli… Così decise di andare al ballo all’aperto,.. Si fermò un momento all’ingresso, c’era in lui, lui riusciva a vedersi, qualcosa che c’è nei cani lupi, faceva un tipo, e lo sapeva, e forse lì nel ballo c’era una donna che se ne intendeva, bastava una, che a vederlo si sarebbe detta:” quello là è un tipo. Finalmente arriva un uomo”. Aveva proprio bisogno di una donna nuova. […]
 
Appena sveglio, si era ricordato tutto della domenica, subito, come se tra la sera e stamattina non ci fosse stato più di un battito di palpebre, e aveva subito pensato a tutte le volte che Vanda aveva dovuto soffrire e piangere per lui, a tutte le volte che avrebbe ancora dovuto soffrire e piangere per lui prima che fosse morto, perché lui sarebbe morto prima di lei, era giusto, e non solo per il motivo dell’età, aveva sperato che ieri non se la fosse presa con se stessa, ma con lui, solo con lui, che si fosse sfogata ad odiarlo e ad insultarlo. Stasera quando la vedrebbe voleva sentirla dirgli: – Sai, ieri ti ho odiato, ti ho mandato tanti di quegli accidenti… – Sentirglielo dire sarebbe stato per lui come sentirle dire che lo amava sempre, persino di più. Stasera finiva certamente che ne avrebbero fatto tutt’e due un gran ridere, come già adesso lui ne sentiva voglia.
 

Beppe Fenoglio, La paga del sabato