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Non dirmi che hai paura – Giuseppe Catozzella

Non dirmi che hai paura - CatozzellaSamia è una ragazzina di Mogadiscio che fin da piccola ha la corsa nel sangue. Insieme ad Alì, il suo migliore amico, vive giorno dopo giorno nella povertà di cui è vittima la Somalia. In un paese in cui la guerra e la religione rendono la vita quasi impossibile la ragazzina, all’età di 17 anni riesce a qualificarsi per le olimpiadi di Pechino 2008, classificandosi ultima, ma diventando un simbolo per le donne dell’intero paese. Samia però voleva vincere e il suo prossimo obiettivo sarebbero state le Olimpiadi di Londra. Samia decide dunque di intraprendere un lungo viaggio verso la libertà, il riscatto sociale e il coronamento del suo sogno.

Il libro si legge bene e mi è piaciuto veramente tanto. Prima di leggerlo io non avevo mai sentito parlare di Samia e della sua storia; ma continuando nella lettura, che mi ha coinvolto sempre di più, ho iniziato a fare ricerche sulle olimpiadi del 2008 e su Samia e ho trovato un suo video in cui correva in quinta batteria, 200 metri. Sono rimasto molto colpito. La storia di Samia penso che coinvolga tutti noi. E dopo aver letto ciò che ha vissuto questa donna, penso che dovremmo essere più accoglienti verso tutti coloro che, oggi, compiono il “viaggio della speranza” alla ricerca di una vita migliore.

Davide Corvaglia


Nota bibliografica
. Giuseppe Catozzella è nato nel 1976 a Milano dove si è laureato in filosofia all’Università degli Studi della sua città. E’ autore di poesie, romanzi-inchiesta, racconti e reportage. Ha pubblicato i racconti Il ciclo di vita del pesce (Rizzoli, “Granta”, 2011), Fuego (Feltrinelli Zoom, 2012) e i romanzi Espianti (Transeuropa, 2008), Alveare(Rizzoli, 2011; Feltrinelli, 2014), Non dirmi che hai paura (Feltrinelli, 2014), con il quale ha vinto il  premio Strega Giovani 2014, e Il grande futuro (Feltrinelli, 2016).
  
Nota dell’autore: “Mi sono imbattuto nella storia di Samia Yusuf Omar per caso, il 19 agosto 2012 a Lamu, in Kenya. Era mattina, e le news di Al Jazeera si erano brevemente occupate di lei alla conclusione delle Olimpiadi di Londra. Quella storia mi ha folgorato.”

[La storia di Samia Yusuf Omar è stata raccontata anche da Carlo Lucarelli ne “La tredicesima ora” del 30 maggio 2014]

Ecco, per esempio, la guerra mi ha portato via il mare. Però, in compenso, mi ha fatto venire voglia di correre. Perché grande come il mare è la mia voglia di andare. La corsa è il mio mare.

Il valore dello sport
Uscivo di casa verso le undici e in una mezz’oretta, facendo di corsa e tutta coperta dal burqa le stradine più appartate, ero allo stadio. Mi infilavo dentro uno dei buchi nella recinzione, attraversavo lo spiazzo della biglietteria, scavalcavo una bassa cancellata che portava al corridoio centrale, e da lì entravo.

Era bellissimo.
Il profumo dell’erba inondava ogni cosa, i miei sensi erano completamente avvolti da quell’odore dolce e sottile, frizzante.
Avere lo stadio vuoto, tutto per me e illuminato solo dalla luce della luna, era bello come conquistare la stoffa trapuntata del cielo.
Mi fermavo al bordo della pista di tartan su cui avevo vinto la mia prima gara e mi sfilavo quell’impiastro nero del burqa. Lo piegavo e lo lasciavo a terra. Poi, mentre piano piano prendevo fiato, soltanto l’idea di essere là dentro di notte mi metteva addosso un’adrenalina che mi levava il respiro. Mi scaldavo portandomi a passi lenti e lunghi al centro del campo da calcio. E da lì mi gustavo, per qualche secondo che durava tutto l’infinito, lo spettacolo dello stadio deserto.

Nessuno. 

Soltanto io, il mio respiro e la luna. E l’odore dell’erba, che arrivava pungente da ogni parte.
Fuori, facevo finta che ci fosse la pace, e che quello fosse un dispetto per cui non avrei rischiato niente.
È stato lì, in quelle notti, a tre giorni dalla gara più importante della mia vita, che ho scoperto che correvo i cento metri in sedici secondi e trentadue centesimi, e i duecento in trentadue secondi e novanta centesimi. Credevo di essere più veloce, e invece no. Il cronometro di Said mi aveva svelato un’amara verità. Ero molto sopra i record del mondo, dovevo per forza migliorare. Non potevo che migliorare.

Il viaggio
Il Viaggio è una cosa che tutti noi abbiamo in testa fin da quando siamo nati.
Ognuno ha amici e parenti che l’hanno fatto, oppure che a loro volta conoscono qualcuno che l’ha fatto. È come una creatura mitologica che può portare alla salvezza o alla morte con la stessa facilità. Nessuno sa quanto può durare. Se si è fortunati due mesi. Se si è sfortunati anche un anno, o due. E fin da quando siamo bambini il Viaggio è uno degli argomenti preferiti di conversazione. Tutti hanno racconti di parenti giunti a destinazione in Italia, Germania, Svezia o Inghilterra. Colonne di tir con uomini cotti dal sole e morti dentro il forno del Sahara.
Trafficanti di esseri umani e terribili prigioni libiche.
E poi i numeri dei viaggiatori che muoiono nel tratto più difficile, la traversata del Mediterraneo, dalla Libia all’Italia. Chi dice decine di migliaia, chi dice centinaia di migliaia. Fin da quando siamo nati siamo abituati a questi racconti, a questi numeri senza fondamento. Perché chi arriva, quando chiama a casa dice sempre la stessa cosa: non riesco a descrivere cosa è stato il Viaggio. È stato terribile, questo di certo, ma non so dirlo a parole.

Ecco perché è sempre avvolto dal più assoluto mistero. Un mistero per alcuni necessario per arrivare alla salvezza.

Il Sahara
Quando entri nel deserto smetti di essere di essere un uomo. Ero già stata tahrib ad Addis Abeba, ma adesso ero una tahrib bisognosa di rifugio. Una clandestina fragilissima. Un animale legato alla vita da un filo sempre più sottile.

Ti prendono a bastonate.
Se non hai i soldi: ti prendono a bastonate.
Se non esegui gli ordini: ti prendono a bastonate.
Se osi rispondere: ti prendono a bastonate.
Se chiedi più acqua: ti prendono a bastonate. Non gli interessa se sei adulto o bambino: ti prendono a bastonate.
E lì hai solo due strade. Pagare i poliziotti per essere consegnato ad altri trafficanti, oppure farti riaccompagnare indietro, al confine con l’Etiopia.
Presto nel Viaggio si imparano il silenzio e la preghiera.
Presto nel Viaggio si impara a dimenticare il motivo per cui sei lì, e a praticare silenzio e preghiera.

Il mare
Non potevo crederci, non doveva mancare troppo alle coste italiane. Eppure eravamo fermi. Siamo rimasti così per quindici ore. 

Quindici ore sono infinite se sai di essere a un passo dalla meta. Se sei in viaggio come me da un anno e mezzo, se includo Addis Abeba. Quindici ore da ferma, con l’adrenalina che avevo addosso, sono un tempo che non si riesce neanche a pensare. È come se al finale di una gara, proprio quando manca un passo, l’ultima falcata per solcare la linea del traguardo, andassi a sbattere contro un muro trasparente.
Qualcuno ha iniziato a dare i numeri. Qualcun altro ha cominciato a nominare Allah. I trafficanti sono scesi sul ponte, erano sei uomini, e con i bastoni hanno riportato la calma. Hawaian, state zitti.

“Se gridate, di certo in Italia non ci arriviamo,” dicono.

Dopo quindici ore, finalmente arriva la barca italiana.

L’approdo
Vola, Samia, vola come il cavallo alato fa nell’aria…
Sogna, Samia, sogna come se fossi il vento che gioca tra le foglie…
Corri, Samia, corri come se non dovessi arrivare in nessun posto…
Vivi, Samia, vivi come se tutto fosse un miracolo…

…Corri, Samia, corri come se non dovessi arrivare in nessun posto…

Riesco a qualificarmi per il rotto della cuffia per le Olimpiadi di Londra 2012.
La mia gioia tocca il cielo. Non sono mai stata più felice. Supero tutte le fasi preliminari e, contro ogni pronostico, arrivo alla finale.
Il pubblico è con me.
Sui blocchi di partenza, in mondovisione, sono in quarta corsia.
Alla mia destra c’è Veronica Campbell – Brown, alla mia sinistra Griffith – Joyner, la donna più veloce del mondo.

…Vivi, Samia, vivi come se tutto fosse un miracolo…

Bum.

Questo è lo start.
Adesso si corre.

Giuseppe Catozzella, Non dirmi che hai paura, 2014, 236 p., brossura – Editore. Feltrinelli  (collana I narratori)