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Demetrio Pianelli – Emilio De Marchi

Emilio De Marchi - Demetrio Pianelli
Gian Maria Annunziata

Il romanzo fu pubblicato in appendice nel 1889, col titolo “La bella pigotta”; ma l’anno dopo, nell’edizione in volume prese il titolo dal nome del suo protagonista. Fu l’opera di maggior successo tra i romanzi di Emilio De Marchi, ma una curiosa disparità nei giudizi persuase l’autore a compilare, ironicamente, un “Saggio comparativo dei giudizi dati dalla critica sul Pianelli” per la seconda edizione del romanzo.
Totalmente inserito nella vita associata e nel costume della città di Milano, Emilio De Marchi raccoglie il complesso di sentimenti e aspirazioni, povertà e fatiche, successi e fallimenti della piccola borghesia artigiana e impiegatizia cittadina e della gente di campagna e ne fa la trama del suo romanzo, esprimendo tutto in figure, personaggi e ambienti che sono tipicamente lombardi nell’aspetto, ma universali nelle dinamiche e nei moti dell’animo.
Il protagonista, Demetrio, modesto impiegato, sparagnino e frugale nella vita e negli affetti, è costretto dalle circostanze a farsi carico del pagamento dei debiti, del sostentamento e della sistemazione della bella vedova e dei tre figlioli del fratello Cesarino, dedito a un tenore di vita insostenibile e morto suicida. Beatrice, la cognata vedova, è la bella pigotta: una bambola avvenente e vanesia, con una “testa d’oca” dice di lei Demetrio, che pure s’innamora, senza che lei se ne avveda. Arabella è la nipotina di Demetrio, l’unica a comprendere l’animo ruvido ma buono del burbero zio e a sapere come sollecitarne l’intervento e il soccorso. Intorno a loro si muovono altri uomini e donne, artigiani, operai, impiegati, funzionari, contadini e possidenti, con i loro desideri di agio e ricchezze e con le loro passioni cariche di forza drammatica.  Da leggere.

Ma più che i fiori, Demetrio amava le erbe,le erbe semplici, vestite soltanto di verde,…il verde in tutte le sue modeste e ricche varietà, quel benedetto verde, che par fatto per il riposo del corpo e dell’anima.


Estratto:

Demetrio abitava tre stanzucce poste all’ultimo piano d’una vecchia casa…alle quali si accedeva per una scaletta semibuia a giravolte, come quella di un campanile.
Una volta giunti lassù si aveva il compenso dell’aria e d’una grande occhiata sopra i tetti. Una piccola ringhiera menava a un terrazzino esterno, sul quale dal giorno che il nuovo padrone era venuto ad abitare in quella casa si distendeva una giovine vite del Canada, che teneva il piede in un barile.
Nella bella stagione verdeggiavano e serpeggiavano avviluppati ai ferri alcuni rami di fagiolo, che aprono i bei campanelli bianchi, rossi, violetti e mandano filamenti a carezzare il muro; da alcuni trespoli piovevano sul tettuccio sottostante dei ciuffi spessi di garofano.
Ma più che i fiori, Demetrio amava le erbe, le erbe semplici, vestite soltanto di verde, le tredescansie, che sembrano capelli sciolti d’una bella donna, le felci magre e lunghe, i muschi morbidi come il velluto, l’edera coi suoi capricci ed anche il rosmarino, anche l’insalata dalle coste dure…il verde, insomma, in tutte le sue modeste e ricche varietà, quel benedetto verde, che par fatto per il riposo del corpo e dell’anima.
Nato anche lui nel bel mezzo dei prati lombardi e da una gente abituata chi sa da quanti anni a rovistare nell’erba, aveva nel sangue l’istinto fantastico della natura verde e silenziosa, della quale sapeva intendere le voci più misteriose; era un vero appetito d’erba, che gli faceva costruire in tre o quattro cassette di legno sopra le tegole bruciate un campionario di quella natura, ch’egli sognava quasi tutte le notti.

Emilio De Marchi, Demetrio Pianelli