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Il sentiero dei nidi di ragno – Italo Calvino

Il sentiero dei nidi di ragno

Il sentiero dei nidi di ragno è il primo romanzo di Italo Calvino e, forse, anche il romanzo più riuscito. Pubblicato nel 1947, è ambientato in Liguria all’epoca della seconda guerra mondiale e della Resistenza partigiana. Un’opera a volte neorealista, a volte neoespressionista, ma sempre impegnata politicamente, nella quale Calvino vuole dare testimonianza della Resistenza dal punto di vista di un bambino.
 Il protagonista del romanzo è Pin, un ragazzo povero e selvatico, e tutte le vicende sono filtrate attraverso il suo punto di vista: ai suoi occhi crudi eventi bellici diventano avventure fiabesche, permettendo all’autore di evitare una rappresentazione ideologica e propagandistica della Resistenza. Pin è orfano e vive con la sorella prostituta e, pur mantenendo la caratteristica ingenuità dei bambini, è dispettoso, petulante. Dopo aver rubato la pistola ad un tedesco che frequenta la sorella, la nasconde in un luogo favoloso che lui solo conosce; viene poi catturato dai tedeschi, ma riesce ad evader grazie ad un partigiano comunista, Lupo Rosso. Si unisce poi ad una banda di partigiani non certo esemplari; in seguito scopre che qualcuno ha scoperto la pistola e ha distrutto il luogo dei nidi di ragno. Pelle, un traditore dei partigiani, è il ladro: quando Pin capisce che Pelle è diventato l’amante della sorella la rimprovera aspramente, mostrando così la maturazione in lui di una coscienza politica e morale.
Bello, forte, emozionante. Un libro che fa riflettere.

Poi c’è qualche intellettuale o studente, ma pochi, qua e là, con delle idee in testa, vaghe e spesso storte. Hanno una patria fatta di parole, o tutt’al più di qualche libro. Ma combattendo troveranno che le parole non hanno più nessun significato, e scopriranno nuove cose nella lotta degli uomini e combatteranno cosi senza farsi domande, finché non cercheranno delle nuove parole e ritroveranno le antiche, ma cambiate.

Estratto
[…] Perché combattono, allora? Non hanno nessuna patria, né vera né inventata. Eppure tu sai che c’è coraggio, che c’è furore anche in loro. È l’offesa della loro vita, il buio della loro strada, il sudicio della loro casa, le parole oscene imparate fin da bambini, la fatica di dover essere cattivi. E basta un nulla, un passo falso, un impennamento dell’anima e ci si trova dall’altra parte, come Pelle, dalla brigata nera, a sparare con lo stesso furore, con lo stesso odio, contro gli uni o contro gli altri, fa lo stesso.
Ferriera mugola nella barba: – Quindi, lo spirito dei nostri… e quello della brigata nera… la stessa cosa?…
– La stessa cosa, intendi cosa voglio dire, la stessa cosa… – Kim s’è fermato e indica con un dito come se tenesse il segno leggendo; – la stessa cosa ma tutto il contrario. Perché qui si è nel giusto, là nello sbagliato. Qua si risolve qualcosa, là ci si ribadisce la catena. Quel peso di male che grava sugli uomini del Dritto, quel peso che grava su tutti noi, su me, su te, quel furore antico che è in tutti noi, e che si sfoga in spari, in nemici uccisi, è lo stesso che fa sparare i fascisti, che li porta a uccidere con la stessa speranza di purificazione, di riscatto. Ma allora c’è la storia. C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. L’altra è la parte dei gesti perduti; degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell’odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi. Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l’operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione. Io credo che il nostro lavoro politico sia questo, utilizzare anche la nostra miseria umana, utilizzarla contro se stessa, per la nostra redenzione, così come i fascisti utilizzano la miseria per perpetuare la miseria, e l’uomo contro l’uomo.
[…]

È la colonna dei gesti perduti: ora un soldato svegliandosi a uno scossone del camion pensa: ti amo, Kate. Tra sei, sette ore morirà, lo uccideremo; anche se non avesse pensato: ti amo, Kate, sarebbe stato lo stesso, tutto quello che lui fa e pensa è perduto, cancellato dalla storia. Io invece cammino per un bosco di larici e ogni mio passo è storia; io penso: ti amo, Adriana, e questo è storia, ha grandi conseguenze, io agirò domani in battaglia come un uomo che ha pensato stanotte: « ti amo, Adriana ». Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano. Certo io potrei adesso invece di fantasticare come facevo da bambino, studiare mentalmente i particolari dell’attacco, la disposizione delle armi e delle squadre. Ma mi piace troppo continuare a pensare a quegli uomini, a studiarli, a fare delle scoperte su di loro. Cosa faranno «dopo», per esempio? Riconosceranno nell’Italia del dopoguerra qualcosa fatta da loro? Capiranno il sistema che si dovrà usare allora per continuare la nostra lotta, la lunga lotta sempre diversa del riscatto umano? 

Ma allora c’è la storia.
C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra.
Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi.
L’altra è la parte dei gesti perduti, degli inutili furori, perduti e inutili anche se vincessero, perché non fanno storia, non servono a liberare ma a ripetere e perpetuare quel furore e quell’odio, finché dopo altri venti o cento o mille anni si tornerebbe così, noi e loro, a combattere con lo stesso odio anonimo negli occhi e pur sempre, forse senza saperlo, noi per redimercene, loro per restarne schiavi.
Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali.
Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni: per l’operaio dal suo sfruttamento, per il contadino dalla sua ignoranza, per il piccolo borghese dalle sue inibizioni, per il paria dalla sua corruzione.
lo credo che il nostro lavoro politico sia questo, utilizzare anche la nostra miseria umana, utilizzarla contro se stessa, per la nostra redenzione, così come i fascisti utilizzano la miseria per perpetuare la miseria, e l’uomo contro l’uomo.

Italo Calvino, “Il sentiero dei nidi di ragno”  – Einaudi